A cura di P. Michele Curto (C.S.S.),
docente di Storia della Chiesa presso l’ITS
L’antica e nobile città di Campagna è immersa in un suggestivo ed incantevole paesaggio naturale sul versante meridionale dei monti Picentini, a 44 km da Salerno. La città si presenta aggrappata al monte Polveracchio e protetta da un’ampia valle, verso la quale confluiscono il Tenza e l’Alatri che, soprattutto nel passato, furono i motori dell’economia locale, alimentando i numerosi mulini ad acqua presenti nel territorio ed irrigando i fertili campi circostanti.
Il nome della città deriverebbe da finibus Campanie (ai confini della Campania), un’espressione latina, utilizzata nei documenti antichi, per indicare i terrirori intorno al fiume Sele che, allora, segnava il confine tra la Campania (la parte orientale) e la Lucania.
Per la prima volta il nome Campagna compare in un documento del 1056, dove si parla di un castellum Campaniae e in un altro documento del 1063, che riporta la dicitura finibus Campanile.
Anche Pietro da Eboli, poeta vissuto tra il XII e il XIII secolo, nel suo De rebus Siculis carmen ad honorem Augusti, menziona la città con la denominazione di Campaniae castrum. Ai vv. 406-407 l’autore ebolitano descrive, con un malcelato disprezzo, la vicina Campagna, facendo risaltare i conflitti campanilistici, già allora in atto, con queste parole: «Est prope Campaniae castrum, specus immo latronum,/ Quod gravat Eboleam saepe latenter humum» (Non lontano [da Eboli] si trova il castello di Campagna, ovvero un covo di ladroni/che spesso, di nascosto, molesta la terra ebolitana).
Il periodo aureo
Anche se di origine molto più antica, gli storici concordano nell’affermare che la città di Campagna si sia sviluppata dopo la costruzione del castello Geirone, sul colle Girolo. Il Castrum fu edificato con uno scopo difensivo e di controllo del territorio circostante e fu uno dei punti privilegiati di osservazione per buona parte della Piana del Sele. È documentato per la prima volta in epoca normanna. Successivamente, assunse un ruolo così importante che Federico II volle inserirlo tra i castra exempta del regno, alla diretta dipendenza dell’imperatore. Fu intorno al castrum che si sviluppò il sottostante centro abitato con i vari casali sparsi sul territorio.
Ma la città raggiunse il massimo splendore solo nel XVI secolo, quando si sviluppò un fervido cantiere edilizio, che diede vita ad un nuovo assetto urbanistico con la costruzione di nuovi edifici civili e religiosi. In quest’epoca Campagna si arricchì di nuove chiese, cappelle e palazzi nobiliari e si trasformò da un semplice borgo in un’importante e apprezzabile cittadina che l’imperatore Carlo V, nel 1532, elevò a rango di marchesato con il privilegio di una discreta autonomia amministrativa e giurisdizionale.
Questo splendido sviluppo fu il risultato della intelligente e sapiente amministrazione del territorio, operata dalle diverse casate nobiliari, che si avvicendarono alla guida del feudo: i Del Balzo, i Sanseverino e, nel XV secolo, gli Orsini di Gravina, che vi restarono per circa un secolo, dal 1431 al 1530. Nel 1532, poi, il feudo passò ai conti di Monaco.
Una nuova diocesi
In quest’epoca di sviluppo e di splendore urbanistico e territoriale, il feudo si fregiò anche di un’importanza religiosa con l’istituzione della diocesi. A ciò contribuì in modo determinante l’illustre cittadino campagnese Melchiorre Guerriero (1468-1525), che riuscì ad ottenere per la sua città vantaggi e privilegi, grazie alla sua posizione di prestigio nella Curia Romana. Dopo aver compiuto gli studi presso l’Università di Napoli, con l’aiuto del duca campagnese Ferdinando Orsini, nel 1513, era riuscito ad entrare nella cancelleria pontificia con l’incarico di maestro dei brevi pontifici, carica che mantenne fino al 1525.
Il Guerriero ottenne da Leone X, nel 1514, l’elevazione della chiesa madre della città, allora denominata S. Maria della Giudeca, in Collegiata, un titolo onorifico che conferiva a quella chiesa una particolare importanza con l’istituzione di un Capitolo Collegiale, composto da un certo numero di sacerdoti, detti canonici, con lo scopo di rendere più solenne il culto divino. Successivamente la Collegiata fu completamente trasformata e prese il nome di S. Maria della Pace. Al Capitolo della cattedrale, sempre nello stesso anno, Leone X affidò il diritto di patronato sui beni della parrocchia di S. Lucia di Salitto, nel comune di Olevano sul Tusciano, con l’obbligo di mantenere un vicario curato perpetuo nominato dal Capitolo stesso e confermato dall’arcivescovo di Salerno. Il possesso continuò anche con l’istituzione della diocesi e fu confermato anche da Clemente VII. Un diritto che il Capitolo tenne fino al 1943, quando venne definitivamente abrogato, dopo una lunga controversia giuridica, che restituì all’arcivescovo di Salerno il diritto di libera collazione, cioè la libera nomina del parroco di S. Lucia di Salitto.
Due anni dopo dall’elevazione della chiesa madre in Collegiata, nel 1518, sempre Leone X elevò Campagna a rango di città, fregiandola del titolo di Civitas Campaniensis.
Questi privilegi prepararono in qualche modo l’istituzione della diocesi che, su richiesta dell’Imperatore Carlo V, fu concessa da papa Clemente VII, il 19 giugno 1525, con la bolla che inizia con le parole Pro excellenti praeeminentia. Nacque, così, la diocesi Campaniensis e la chiesa di S. Maria della pace fu dichiarata cattedrale.
L’unione con Satriano
La diocesi di Campagna fu unita all’antica diocesi di Satriano con la formula giuridica aeque principaliter (ugualmente importanti). E il vescovo di Satriano, Cherubino Caietano dell’ordine dei Predicatori, eletto nel 1521, divenne, ipso facto, nel 1525, il primo vescovo di Campagna
L’unione delle due diocesi non riguardò le metropolie, cioè la provincia ecclesiastica di appartenenza, che rimasero distinte: così la diocesi di Satriano continuò ad essere suffraganea di Conza, mentre Campagna divenne suffraganea di Salerno. Il territorio della diocesi all’origine era limitato alla città e al suo territorio di pertinenza.
Una diocesi senza sede
La diocesi Satrianensis (1098) in origine aveva la sua sede su un colle, in provincia di Potenza, al confine tra Satriano e Tito, che oggi è denominato Torre di Satriano. La diocesi era piccola e la sua giurisdizione si estendeva su quattro comuni: Pietrafesa (oggi Satriano di Lucania), S. Angelo le Fratte, Savoia di Lucania e Caggiano.
L’antica città di Satrianum, tra il 1420/30, fu distrutta per ordine della regina Giovanna II di Napoli (1337- 1435), la quale, secondo una leggenda popolare locale, si sarebbe vendicata sugli abitanti per un affronto subito. Dopo la distruzione della città il vescovo, Andrea da Venezia, scelse S. Angelo le Fratte come sede provvisoria della diocesi e rimase tale fino al 1525.
Tra il XVII e il XVIII secolo
La diocesi di Campagna – Satriano, come la maggior parte delle diocesi del sud Italia, era povera ed arretrata. Si estendeva su un territorio non omogeneo, caratterizzato da non poche difficoltà di varia natura, legate all’ambiente, alla condizione sociale e all’economia. La maggior parte della popolazione era formata da contadini e pastori (massari), sfruttati dall’avidità e dalla prepotenza del baroni locali. Inoltre la diocesi fu colpita da calamità naturali che aggravarono ancora di più la situazione. Le relationes ad limina, tra il XVII e il XVIII secolo, ne tratteggiano un quadro piuttosto difficile e complesso, che rese arduo ai vescovi il governo della diocesi.
Il più noto vescovo di Campagna – Satriano fu Juan Caramuel Lobkowicz, dal 1657 al 1673, poi trasferito alla guida della diocesi di Vigevano. Il Caramuel fu un personaggio straordinario per la vastità della sua cultura, che spaziava dalla matematica all’astronomia, dalla scienza all’architettura, dalla letteratura alla teologia. Fu autore di molte opere, alcune delle quali furono stampate in diocesi. Da S. Alfonso fu definito princeps laxistarum, cioè troppo lassista in campo morale, in quanto fu sostenitore del probabilismo.
Per evitare di essere coinvolto nelle varie fazioni, presenti a Campagna e, spesso, in lizza tra loro, il Caramuel preferì risiedere a Sant’Angelo le Fratte (PZ), dove costruì il palazzo vescovile ed impiantò una tipografia detta “Arca santa”. Il Caramuel si prodigò con grande coraggio e zelo nel difendere le rendite della mensa arcivescovile e nella formazione del clero locale in preda all’ignoranza e alla corruzione. L’episcopato del Caramuel si svolse in un periodo di grandi difficoltà e miseria a causa della peste del 1656, che colpì anche il suo predecessore Giuseppe Maria Avila (1649- 1656).
Mons. Francesco Saverio Fontana (1714 –1736) si adoperò per la fondazione di un seminario diocesano e mons. Angelo Anzani (1736-1770) si prodigò nell’abbellimento della cattedrale con la realizzazione di diverse opere e fondò la biblioteca diocesana.
In amministrazione perpetua
La diocesi di Satriano fu definitivamente soppressa il 27 giugno del 1818 da Pio VII, in seguito al terzo articolo del concordato tra la S. Sede e il Regno Borbonico (16 febbraio 1818), che prevedeva una riorganizzazione delle diocesi di qua del Faro, cioè nella parte continentale del Regno.
Con la bolla De utiliori, pubblicata il 27 giugno 1818, Pio VII rendeva ufficiale la nuova geografia ecclesiastica nel regno di Napoli, nella quale non compariva più la diocesi di Satriano. Quella di Campagna, invece, con il territorio dell’ex diocesi di Satriano, fu affidata in amministrazione perpetua all’arcidiocesi di Conza. Il criterio dell’amministrazione perpetua, perseguito dalla S. Sede, rispondeva all’esigenza di conservare le piccole diocesi dotate di un seminario, risollevare il problema della Mensa arcivescovile e sopprimere quelle diocesi che non l’avevano. La diocesi di Campagna quindi non fu soppressa, perché aveva un buon seminario, dotato anche di una discreta biblioteca, ma venne affidata all’arcivescovo di Conza, che ne diventò amministratore.
Quando, poi, il 30 settembre 1992, alla diocesi di Conza furono unite quelle di S. Angelo dei Lombardi e Bisaccia, Campagna fu nuovamente ripristinata come diocesi con un territorio più esteso, perché alcune parrocchie che precedentemente erano appartenute a Conza, passarono sotto la giurisdizione del vescovo di Campagna: Castelnuovo di Conza, Santomenna, Laviano, Valva, Colliano, Oliveto Citra, Contursi, S. Gregorio Magno, Auletta, Buccino, Palomonte, Salvitelle, Vietri di Potenza.
L’opera di mons. Palatucci
Tra il primo e il secondo dopoguerra, dal 1937 al 1961, si distinse come figura singolare di pastore mons. Giuseppe Maria Palatucci, dell’ordine dei Francescani conventuali.
Nel giugno del 1940 a Campagna fu aperto un campo di concentramento per oppositori politici e per ebrei, per lo più di nazionalità tedesca. Il lager di Campagna, rispetto agli altri presenti in Italia, assunse una fisionomia insolita e originale, dovuta all’accoglienza e alla calorosa generosità dei campagnesi verso gli ebrei e anche al sostegno che offrì loro il vescovo Palatucci, il quale trattò gli ebrei come fratelli, aiutandoli e favorendoli in ogni modo.
L’operato del vescovo fu possibile grazie all’aiuto del nipote Giovanni Palatucci, questore di Fiume, che riuscì a salvare centinaia di ebrei, procurando loro permessi di espatrio o inviandoli in gran parte proprio a Campagna, dove poteva contare sulla collaborazione dello zio vescovo e della comunità campagnese.
Giovanni Palatucci fu, poi, scoperto dai tedeschi, arrestato e deportato a Dachau, dove morì nel febbraio del 1945.
L’unione con Salerno
Fu Jolando Nuzzi – successore di mons. Palatucci dal 1961 al 1971, poi trasferito a Nocera – a chiudere la cronotassi dei vescovi Campagnesi. La diocesi di Campagna fu unita a Salerno in persona episcopi. Il vescovo di Salerno, mons. Gaetano Pollio, nel 1971 fu nominato anche amministratore apostolico della diocesi, diventando poi, nel 1973, ufficialmente vescovo di Campagna
Il 31 marzo 1973, per favorire l’inserimento nel rispettivo territorio provinciale, le parrocchie della diocesi, presenti sul lerritorio lucano, passarono all’arcidiocesi di Potenza (Sant’Angelo le Fratte, Vietri di Potenza, Satriano di Lucania e Savoia di Lucania), mentre due parrocchie, presenti sul territorio campano, ma appartenenti alla diocesi di Muro Lucano, passarono alla diocesi di Campagna (Ricigliano, Romagnano al Monte)
Il 30 settembre del 1986, secondo le deliberazioni del decreto della Congregazione dei Vescovi Instantibus votis, la diocesi di Campagna e quella di Acerno furono unite con la formula giuridica plena unione all’arcidiocesi di Salerno.
Alla nuova circoscrizione ecclesiastica fu dato il titolo di Archidioecesis Salernitana-Campaniensis-Acernensis (Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno).
La cattedrale
La cattedrale fu edificata su una parte della vecchia Collegiata, a ridosso del percorso del fiume Tenza. All’interno si presenta strutturata a croce latina con tre navate e un campanile, che si innalza maestoso con la sua copertura a cipolla. La facciata è in stile rinascimentale, con tre ingressi e ampi finestroni, sormontata da timpani triangolari e semicircolari. Nella parte inferiore della cattedrale, sotto il transetto e l’abside, vi è la cappella della confraternita del Monte dei Morti, dedicata alla Beata Vergine del Carmelo. Sotto la cripta vi è un antico cimitero.
I lavori per la costruzione della cattedrale furono avviati solo nel 1634. La prima pietra fu posta dopo quarant’anni dall’ erezione della diocesi, nel giugno del 1564. Il progetto è attribuito a Benvenuto Tortelli, architetto bresciano, particolarmente attivo nel napoletano. Lo sforzo compiuto dai campagnesi fu enorme e altrettanto coraggioso e generoso fu l’impegno nel contribuire ai finanziamenti.
La nuova cattedrale fu solennemente consacrata nel 1683, ma la fabbrica dei lavori continuò ad oltranza, anche nel secolo successivo, per il completamento delle rifiniture interne e delle decorazioni. Nel 1800, mons. Salvatore Nappi, arcivescovo di Conza e amministratore di Campagna (1879-1896), volle decorare l’interno della cattedrale in stile tardo barocco, affidando l’opera all’artista bolognese Rinaldo Casanova.
Gravemente danneggiata durante il sisma del 1980, fu sottoposta ad un lungo periodo di restauro, conclusosi nell’anno giubilare.
La cattedrale custodisce alcune opere preziose: un organo e un pulpito in marmi policromi del XVIII secolo, una statua in pietra della Madonna della Pace, risalente al XV secolo, una statua in legno raffigurante la Madonna con il Bambino del XIV secolo ed un Crocifisso ligneo del XVIII secolo.